CHANGE. PUOI

E se diventi farfalla

nessuno pensa più

a ciò che è stato

quando strisciavi per terra

e non volevi le ali.

(Alda Merini)

In un mondo che sembra impazzito, segnato dalla velocità e dall’ampollosità ingannevole del villaggio globale in cui riaffiorano contrapposizioni identitarie, crescono le disuguaglianze e matura l’ostilità verso l’Altro, dove ancora trovano spazio concetti stantii e pericolosi come integralismo, purezza della razza e scontro tra civiltà, matura per l’umanità un urgente bisogno di cambiamento.

Ma se da un lato si amplifica la paura del diverso e si rafforzano sentimenti identitari che dispongono a un rapporto oppositivo rispetto a chi viene percepito dissimile, facendo apparire negativi concetti come meticciato e ibridazione, dall’altro si assiste alla creazione di parole di grande valore culturale come interconnessione e transculturazione, che si impongono come chiave ermeneutica e teologica per una nuova etica del cambiamento.

Emerge, in particolare, il concetto di métissage foriero di molteplicità e di incommensurabili mutazioni generate dall’incontro con il ‘diverso’ e orientato verso la progettazione di una civiltà alternativa, fondata sulla pace e sulla relazione tra culture.

Il futuro si presenta, dunque, incerto anche se riserva, insieme a grandi rischi anche grandi opportunità e ogni individuo è chiamato a decidere se piegarsi agli eventi o ascoltare quell’esortazione all’azione, quel YOU CAN generato dalla parte più profonda e sapiente del nostro sentire, che spinge verso una visione dell’uomo e del mondo unitario e omnicomprensivo, capace di oltrepassare ogni frammentazione, ogni confine fisico, mentale e culturale.

E se si opta per la vita malgrado tutto, allora meglio pensare globalmente e agire localmente, come suggerisce Ervin László, filosofo e scienziato, che alla costruzione dell’uomo artefice di una «nuova coscienza planetaria» ha dedicato l’esistenza intera. ‘Azione locale’ che non lascia scampo all’inattività e all’indifferenza, che ci fa ritrovare il senso di responsabilità e comunione necessari per innescare quel cambiamento che conduce sulla strada dell’incontro, della sopravvivenza e della pace, che inizia, per prima cosa, da noi stessi e dallo spazio che ci circonda.

Indubbiamente parlare di avvenire e di responsabilità individuale in un mondo in cui ci sentiamo impotenti, tra guerre mai finite e costantemente in balia degli eventi, è complicato, e pensare alla bellezza e alla speranza in mezzo al male e alla rassegnazione, è quantomeno surreale.

Non possiamo certo seminare pace mentre le nostre scelte sono autolesive, né predicare unità se noi per primi ci sentiamo frammentati, deboli e dubbiosi nei nostri tentativi di tenere uniti e armonizzati corpo, mente e cuore. Ed è inappropriato esortare altri alla speranza se noi ci siamo arresi rinunciando a ogni velleità di riscatto.

Come possiamo solo pensare di salvare il mondo intero, se sempre più vano e privo di significato ci appare anche il minimo tentativo di guarire quel granello di mondo che ci vede protagonisti? Nemmeno abbiamo la certezza che questo sia un cambiamento possibile, che l’individuo prenderà alla fine consapevolezza di non essere un Io separato dall’esistenza, ma parte integrante di una rete fatta di inclusione e senso di appartenenza e che non ci sono divisioni se non quelle che l’uomo deliberatamente crea.

Come risposta a questi dubbi conviene citare ancora László che ci lascia aperto uno spiraglio di fede: Se sono fiducioso? Se sono ottimista o pessimista? Io sono possibilista. Credo che ognuno di noi debba essere il cambiamento che vuole vedere nel mondo. Che il futuro non possa essere ‘preveduto’ ma debba essere creato. Credo che da questa crisi si possa imparare e cambiare in meglio. Il tempo delle giustificazioni sembra essersi consumato e non serve più dire che non abbiamo alcun potere o possibilità di fare niente, ogni uomo è chiamato a fare la sua parte, almeno tentare.          

Chiara Schirru

SCENOGRAFIA a cura di Mattia Enna

SALTIMBANCHI MOSTRINÆ
Quando l’uomo decide di denudarsi, esponendosi con la sua genuinità fatta di pregi,
difetti e debolezze, entra in sintonia con il mondo. Mostra così la sua anima, diventando
un Mostrinæ saltimbanco: un essere unico, irripetibile e, a suo modo, bellissimo, che
acquisisce così il diritto di stare al centro dell’attenzione, di diventare il fulcro dello
spettacolo.
Ci saranno quindi ventidue piedistalli, ma solo alcuni saranno occupati da un
Mostrinæ, gli altri saranno vuoti, nella speranza che, tra il pubblico, qualcuno decida di
abbandonare le sue sovrastrutture diventando anch’esso, idealmente, un saltimbanco.